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OLTRE IL VALICO

IL PICCOLO POPOLO DEL FAGGETO: VAL CERVARA

Un piccolo popolo, dimorato in un faggeto, ai confini di una topografia intrisa di fate. Parla le lingue delle creste che lo assediano, e come in molti libri di fiabe, come nei sogni, senza passione né dramma, poco ne fanno sapere e tutto resta tra loro.
Racconti fantastici di radici vetuste, tra valli inquiete e scoscese falesie dalla massima densità di popolazione. Un’esperienza comune, ma anche luoghi e tempi in cui si combattono battaglie di innocenza interiore. Povero popolo, anch’esso, forse, lì lì per dissolversi.
Un tratterello per dire tutto quello che se ne sa. Uno spaesamento geografico ed emotivo nei nostri scaffali di consultazioni indispensabili.

Per impadronirsi dei diamanti di quel cielo gli uomini s’arrampicano, spaventano il piccolo popolo che vi abita

Suggestione di alberi dal fusto di ciclopi, dalle foglie incartate di un sottile guanto di peluria, glandi e verdi palmi di mani e orecchie che fioriscono di suoni striscianti. Siamo contagiati dalle forme che incontriamo e così, bosco sulla testa, rampicanti su per le gambe, ci confondiamo al vegetale. Fusti che crescono a forma di gnomi, impugnando pugnali di streghe; escono certi animaletti veloci e fugaci che potrebbero essere il vero principio naturale di questo universo. Il cielo è una cupola d’albero.
Un’inarrestabile metamorfosi di foglie e fiori, tambura la corteccia al ritmo del picchio, una testa d’uccello, una penna rossa e un Rampichino Alpestre che è ancora uovo. Gli alberi si sradicano da soli, camminano, mentre foglie-ragnatela intessono abbracci e rapiscono acqua all’aria e insetti alla terra. Linee tracciate penetrano nella terra, spuntano, riaffiorano, sbocciano fiori sotterranei e un odore di muschio si insinua alla mente. Nomi diversi per radici quasi uguali in un universo botanico di piante che hanno consistenza di gigante.
Gaia natura di un riccio che gioca con mucchietti di polvere, mani di pianta da cui spuntano fuori esserini verdi che si mettono a saltare. Musi di scoiattolo, in atteggiamento rispettoso, spalancano gli usci del letto nascosto delle loro tane, circondati da famiglie di formiche in folla continua che scorre.
Il piccolo popolo gode della sua autonomia e corposità tridimensionale, multicolore e mutevole. La foglia morta a terra è anche vivente, vorrebbe sollevarsi da terra con un filo di aria, o calarvisi col paracadute. La forma del tempo scorre via l’agitazione, solido e continuo esso si ferma.

L'odore delle piante trattiene ogni ricordo

I confronti rimandano alle suggestioni dei racconti buzzatiani. Una folla d’esseri, enciclopedia botanica e zoologica d’inventori di leggi evolutive. Colori saldati assieme in una continuità anatomica di sfumature. Un faggio, ferito senza gloria, che s’accende e si spegne sotto l’arcata di luce del cielo; nel faggeto ha consistenza densa di nebbia di primo mattino, calore trattenuto di tarda sera. E si guarda alla natura vivente di un fungo che procrea sulla corteccia morente del faggio.
Le pietre, affacciate sotto il muschio, comandano i movimenti dell’uomo che marcia su sentieri storti.
Cammini e soste a un’andatura calma e uniforme tra parole attutite che non traducono sensazioni. E’ una lezione sul modo di muoversi nel mondo? Cambia con il passare delle ore, delle stagioni e delle nuvole in cielo. Metamorfosi della spazio unite a quelle di un tempo che ha le dimensioni di secolo. Chiaroscuro tra i fusti ora più chiari ora più scuri. Ecco cos’è un sentiero. Un ciuffo di erba lo si può vedere da cento e più prospettive diverse.

Osserva bene. Avvicinati. Trattieni il respiro

E' un fungo molle grande come un elmo. Sciabole ricurve di rami, ferro temprato di nuda roccia, le maschere del faggio si contorcono in smorfie bonarie, epiche per un lettore di poemi cavallereschi; sono nodi che hanno continuato a proliferare in bitorzoli imponendo la singolarità delle loro forme.
L’impressione che se ne ha è quella di una fabbrica di sogni, terreno di sfide animali, saettanti labirinti di un’affollata solitudine in cui nessuno sembra conoscere nessuno, e ognuno è intento nel suo gioco di sopravvivenza.
Vita notturna che si espande, con attrazione e paura così come la vedo io, e certamente anche come forza amica, condizione necessaria all’esistenza del piccolo popolo.

E poi segui il battito d’ali, che si infrange tra le braccia di un gigante maestoso, quando d’improvviso riprende impeto e si lancia su un corpo di ragno che esclude in quel momento da sé la vita. E’ un Barbastello.

Le stelle continuano a bruciare mentre il faggeto prende parte al banchetto, un modo d’essere assoluto. Giganti che si smorzano poco a poco, inceneriti dalla vita di un fungo. E un tappeto barbuto nel centro di questo bosco, un mantello che estende braccia ovunque. E’ il fondo di questo bosco ceduo, il pozzo in cui confluiscono radice, tronco e chioma. Una morfologia che cambia i propri ruoli, sconvolgimento di sintassi vegetale, radici che salgono verso l’alto, rami diventati tronco e tronchi nati da gemma di un ramo.

Ciò che conta e resiste è solo ciò che è concentrato verso un fine, e il piccolo popolo del faggeto lo sa.

In Val Cervara c'è la faggeta più antica d’Europa. Per maggiori informazioni visita il progetto Forestbeat